Quando un nonno osserva il proprio nipote adulto muoversi nel mondo con incertezza, sminuendo sistematicamente le proprie capacità e allontanandosi dalle opportunità che la vita gli offre, si trova di fronte a una sofferenza silenziosa ma profonda. Questa mancanza di autostima non è semplicemente timidezza o modestia: è un ostacolo concreto che può compromettere l’intera traiettoria esistenziale di un giovane, impedendogli di costruire relazioni autentiche, perseguire obiettivi professionali ambiziosi o semplicemente sperimentare la serenità di sentirsi adeguato.
Le radici nascoste della svalutazione personale
Prima di intervenire, è fondamentale comprendere che la scarsa autostima raramente nasce dal nulla. Secondo gli studi di psicologia dello sviluppo, questa condizione affonda le radici in esperienze pregresse: confronti costanti con fratelli o coetanei, aspettative genitoriali eccessivamente elevate o al contrario troppo basse, episodi di bullismo o esclusione sociale, fallimenti percepiti come definitivi. La ricerca scientifica conferma che la bassa autostima radicata in esperienze infantili negative porta a interiorizzare messaggi negativi durante fasi critiche dello sviluppo.
Un giovane adulto che si svaluta costantemente ha probabilmente creato quella che gli psicologi chiamano profezia che si autoavvera: convinto di non essere capace, evita le sfide e quindi non sviluppa mai le competenze che potrebbero smentire questa convinzione. Gli studi sui cicli di feedback negativo mostrano come l’aspettativa di fallimento porti a evitamento comportamentale, rinforzando ulteriormente la bassa autostima in un circolo vizioso difficile da spezzare.
Il ruolo unico e potente dei nonni
I nonni occupano una posizione privilegiata in questa dinamica familiare. A differenza dei genitori, spesso invischiati nelle ansie educative quotidiane e nelle aspettative proiettive, i nonni possono offrire uno sguardo diverso: meno giudicante, più accogliente, arricchito dalla prospettiva che solo l’esperienza di vita conferisce. La relazione nonno-nipote adulto può diventare uno spazio sicuro dove il giovane sperimenta un’accettazione incondizionata, prerequisito essenziale per ricostruire la fiducia in sé stesso.
Le ricerche sulle relazioni intergenerazionali dimostrano che i nonni forniscono un supporto emotivo unico, promuovendo l’autostima attraverso un’accettazione che non dipende da prestazioni o risultati. Questa posizione particolare permette loro di essere alleati preziosi nel percorso di crescita personale dei nipoti adulti.
Strategie concrete di supporto emotivo
Il primo passo è riconoscere senza enfatizzare. Quando il nipote condivide un successo, anche piccolo, è controproducente reagire con entusiasmo esagerato che suona falso o paternalistico. Meglio un riconoscimento sobrio ma genuino: “Ho notato quanto impegno hai messo in questo progetto” funziona meglio di “Sei straordinario!”. Secondo la ricerca di Carol Dweck sulla mentalità di crescita, lodare lo sforzo piuttosto che le qualità innate costruisce resilienza e motivazione duratura. Enfatizzare il processo e l’impegno porta a maggiore persistenza e miglioramento rispetto al focus sulle abilità percepite come innate.
Condividere vulnerabilità personali rappresenta un’altra strategia potente. Raccontare al nipote momenti della propria vita in cui si è sperimentata insicurezza, si sono commessi errori o si è dovuto ricominciare da zero, trasmette un messaggio fondamentale: l’incertezza è parte dell’esperienza umana, non un difetto personale. Questa narrazione normalizza la fragilità e dimostra che l’autostima non è un possesso permanente ma qualcosa che si coltiva continuamente. Gli studi sulla terapia narrativa confermano che condividere storie personali di vulnerabilità riduce la vergogna e rafforza l’autostima.
Oltre l’incoraggiamento verbale: azioni che trasformano
Le parole, per quanto ben scelte, non bastano. I nonni possono creare opportunità di successo calibrato, situazioni strutturate dove il nipote può sperimentare competenza senza sentirsi sovraesposto al giudizio. Potrebbe essere coinvolgerlo in progetti concreti dove le sue abilità emergono naturalmente: restaurare un mobile insieme, organizzare un evento familiare, insegnare al nonno competenze digitali. Queste esperienze costruiscono quella che lo psicologo Albert Bandura chiama autoefficacia percepita, la convinzione di poter affrontare compiti specifici con successo.

L’autoefficacia si sviluppa attraverso esperienze di padronanza calibrate, come successi graduali in attività significative. Ogni piccolo traguardo raggiunto diventa prova concreta di capacità, creando un nuovo pattern di pensiero basato su evidenze reali piuttosto che su convinzioni distorte.
Quando proporre supporto professionale
Esiste un confine sottile tra bassa autostima situazionale e condizioni più complesse che richiedono intervento specialistico. Se il nipote manifesta sintomi persistenti di depressione, isolamento sociale prolungato, pensieri autodenigratori ossessivi o evitamento patologico che compromette funzionamento lavorativo e relazionale, la questione supera le possibilità di supporto familiare. In questi casi, il nonno può svolgere una funzione di ponte delicato verso la terapia psicologica, normalizzando la richiesta d’aiuto professionale: “Anche io, alla tua età, avrei beneficiato di parlare con qualcuno che mi aiutasse a vedere le cose da una prospettiva diversa”.
Le linee guida cliniche confermano che la bassa autostima cronica accompagnata da sintomi depressivi richiede un intervento terapeutico strutturato, come la terapia cognitivo-comportamentale, che ha dimostrato efficacia nel modificare i pattern di pensiero negativi e ricostruire una percezione più equilibrata di sé.
Il potere della presenza costante
La ricerca sulla resilienza evidenzia un dato fondamentale: spesso basta una sola relazione significativa e stabile per modificare la traiettoria di vita di una persona con scarsa autostima. Gli studi longitudinali mostrano che un legame protettivo stabile, come quello con un mentore o un familiare disponibile, predice resilienza e crescita dell’autostima nonostante condizioni iniziali sfavorevoli. Il nonno che mantiene contatti regolari, mostra interesse genuino per il mondo interiore del nipote e resta disponibile senza essere invadente, offre quella base sicura da cui il giovane può partire per esplorare il mondo con maggiore coraggio.
Questa presenza richiede pazienza. I cambiamenti nell’autopercezione non avvengono linearmente né rapidamente. Ci saranno passi avanti seguiti da regressioni, momenti di apertura alternati a ritiro. Il nonno che comprende questa dinamica non si scoraggia né interpreta i passi indietro come fallimenti personali, ma continua a offrire quello spazio di accettazione incondizionata che, goccia dopo goccia, erode le fondamenta della svalutazione.
Costruire narrazioni alternative
Un’altra risorsa preziosa è aiutare il nipote a riscrivere la propria storia personale. Spesso chi ha scarsa autostima interpreta la propria biografia attraverso una lente deformante che evidenzia solo fallimenti e inadeguatezza. Il nonno, depositario della memoria familiare, può reintrodurre nella narrazione episodi dimenticati di coraggio, resilienza, gentilezza o competenza: “Ti ricordi quando avevi dodici anni e hai difeso quel compagno che tutti prendevano in giro? Quello richiede un tipo di forza che molti non hanno”. Queste reminiscenze non sono nostalgiche evasioni ma ancore concrete a una verità più complessa dell’identità del nipote.
La terapia narrativa valida questo approccio, dimostrando che riscrivere narrazioni personali includendo elementi positivi contrasta gli schemi autodenigratori radicati. Riportare alla luce momenti di forza dimenticati permette di costruire un’identità più equilibrata e realistica.
Il viaggio verso una maggiore fiducia in sé stessi richiede tempo, sostegno costante e la disponibilità a tollerare l’incertezza. Per un nonno che osserva con preoccupazione il nipote limitarsi e rinunciare, sapere di poter fare la differenza attraverso presenza, riconoscimento autentico e opportunità calibrate rappresenta non solo una consolazione, ma un invito concreto all’azione. Ogni conversazione significativa, ogni racconto di vulnerabilità condivisa, ogni piccolo successo riconosciuto diventa un mattoncino nella ricostruzione di quell’edificio interiore che permette a un giovane adulto di dirsi, finalmente: “Forse valgo più di quanto pensassi”.
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